Marcinelle: La tragedia dei "musi neri" italiani in Belgio.

 

Dal 2001, l’8 agosto, si celebra la Giornata Nazionale del Sacrificio e del Lavoro Italiano nel Mondo. La data rimanda immediatamente alla tragedia nella miniera belga di Marcinelle quando, l’8 agosto del 1956 morirono 262 minatori, di cui 136 italiani: il numero più numeroso dei 600 italiani morti nelle miniere tra il 1946 e il 1956.

"8:11 del mattino di quel maledetto 8 agosto 1956. Una gigantesca nuvola di fumo nero si sprigiona dalla miniera di carbone di Bois du Cazier, a ridosso di Marcinelle, nel comune di Charleroi in Belgio. La bestia ha spiegato le sue ali di fuoco nero a mille metri sotto il livello della dignità umana. Muoiono 262 minatori, e di questi 136 sono italiani".

Il disastro di Marcinelle avvenne la mattina dell'8 agosto 1956 nella miniera di carbone Bois du Cazier di Marcinelle, in Belgio. Si trattò d'un incendio, causato dalla combustione d'olio ad alta pressione innescata da una scintilla elettrica. L'incendio, sviluppatosi inizialmente nel condotto d'entrata d'aria principale, riempì di fumo tutto l'impianto sotterraneo, provocando la morte di 262 persone delle 274 presenti, in gran parte emigranti italiani. L'incidente è il terzo per numero di vittime tra gli italiani all'estero dopo i disastri di Monongah e di Dawson. Il sito Bois du Cazier, oramai dismesso, fa parte dei patrimoni storici dell'UNESCO.

Un addetto ai carrelli fece risalire nel momento sbagliato un montacarichi, che sbattendo contro una trave metallica andò a squarciare un cavo dell’alta tensione, una conduttura dell’olio e un tubo dell’aria compressa. L’incendio fu immediato e micidiale, non lasciando scampo a nessuno, anche perché, in quel complesso di antica estrazione, tutte le strutture erano ancora in legno. Il sistema di sicurezza era inchiodato all’ottocento. Non c'erano in dotazione nemmeno le maschere con l’ossigeno e così quasi tutti moriranno soffocati dall’ossido di carbonio, di concerto col lavorio infame delle fiamme. Soltanto dodici furono i superstiti.

Era stato il miraggio del lavoro a far spostare, nel primo dopoguerra, intere generazioni di italiani da ogni regione verso le miniere del Belgio grazie ai cosidetti accordi "uomo-carbone". In particolare provenivano da Sicilia, Puglia, Abruzzo, Veneto e Campania ed approdavano in Belgio, un paese ricco di carbone ma che aveva bisogno di manodopera a basso costo.

Il Primo ministro belga, Van Hacker lanciò la cosiddetta «battaglia del carbone» e strinse il Protocollo italo-belga con l'allora Primo ministro italiano De Gasperi che prevedeva uno scambio tra fornitura di carbone a prezzo preferenziale, una risorsa ormai scarsa in Italia, in cambio dell’invio graduale di 50.000 minatori italiani. "Per convincere le persone ad andare a lavorare in miniera in Belgio, l'Italia viene tappezzata di manifesti di colore rosa che presentano unicamente i vantaggi derivanti dal mestiere di minatore: salari elevati, carbone e viaggi in ferrovia gratuiti, assegni familiari, ferie pagate, pensionamento anticipato".

Partì così dall’Italia un'inarrestabile marcia verso il miraggio del lavoro, con la speranza di trovare se non il benessere, almeno il pane per sopravvivere. Ma ad attendere i nostri connazionali ci fu soprattutto la fatica smisurata del lavoro nelle viscere della terra, senza alcuna preparazione, con misure di sicurezza totalmente inadeguate, per non parlare del clima di diffidenza e razzismo da parte della popolazione locale. Gli «uomini carbone» alloggiavano in vere e proprie baracche di legno o strutture di lamierache erano state usate durante la guerra come campi di prigionia per i tedeschi.

Negli anni in cui vengono conclusi i vari accordi bilaterali tra Italia e Belgio, come il protocollo del 23 giugno 1946 ed il protocollo dell’11 dicembre 1957 gli immigrati italiani si dirigono in misura considerevole verso le miniere di carbone del Belgio: sono circa 24.000 nel 1946, oltre 46.000 nel 1948. A parte un periodo di flessione corrispondente agli anni '49-'50, nel 1961 gli italiani rappresentano il 44,2 per cento della Popolazione straniera in Belgio, raggiungendo le 200.000 unità.

I ritmi di lavoro erano estenuanti, ripartiti tra gli scavi e la costruzione delle gallerie, nel nero della miniera. Talmente dura che in molti decidevano di far ritorno alla propria terra, ma solo dopo aver svolto l’anno di lavoro obbligatorio stabilito dal contratto belga, pena l’arresto

 

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